Il blog di Chiara Cecutti

Lo spirito di squadra nel lavoro come nel football. Il Team Building secondo Oliver Stone

Nel 1999 Oliver Stone porta sul grande schermo una grande storia, una storia di sport e di vita, e non è certo una novità che le due sfere si intreccino o combacino, l’una metafora dell’altra: si intitola Ogni maledetta domenica e racconta di una squadra di football in crisi che un grande coach, chiamato Tony D’Amato e interpretato da un altrettanto grande Al Pacino, decide di rianimare e far tornare a vincere. Prendiamo in prestito questo film anche perché la scena clou per la quale viene più spesso ricordato è quella dell’appassionato discorso che l’allenatore pronuncia con grande trasporto ai suoi giocatori in vista di una partita molto importante, anzi, decisiva. Discorso che, dopo aver parlato di centimetri da conquistare uno ad uno, perché “la vita è un gioco di centimetri e così è il football”, si conclude con tale esortazione: “dovrete guardare il compagno che avete accanto, guardarlo negli occhi. Io scommetto che ci vedrete un uomo determinato a guadagnare terreno con voi. Che ci vedrete un uomo che si sacrificherà volentieri per questa squadra, consapevole del fatto che quando sarà il momento, voi farete lo stesso per lui. Questo è essere una squadra, signori miei!”. Un po’ enfatico forse, ma molto emblematico e decisamente simbolico.

Se lo guardiamo in quest’ottica appare infatti subito chiaro che il coach in questo caso non è solo un allenatore o “spronatore” sportivo, ma incarna, anche se in modalità cinematografica e quindi volutamente plateale, quello che è il vero ruolo del coach chiamato a recuperare il senso di appartenenza al gruppo da parte del singolo in una qualsiasi altra situazione, lavorativa in primis. Non dimentichiamo che la squadra del film di Stone è afflitta da infortuni, sostituzioni non idonee, perdita di fiducia, sopraffatta quindi da condizioni negative che ne minano l’efficienza e persino la consapevolezza di se. Spostiamo quindi l’ottica dallo sport al lavoro, dal campo di football all’azienda, da una partita da vincere a una sfida professionale da superare, tutti insieme, proprio come una squadra. Le cose non funzionano neanche in questo caso se ci sono condizioni negative a inficiare la corsa, ma si può rimediare e arrivare persino vincere la partita.

Ecco il senso del team coaching, processo che mira a migliorare l’azione di squadra, e quindi di gruppo, puntando sui suoi singoli componenti, accrescendo quindi la consapevolezza delle potenzialità e responsabilità individuali e al tempo stesso collettive, individuando motivazioni e percorsi diretti allo scopo ultimo, condiviso dal team e dall’azienda stessa e individuando quelle disfunzioni o relazioni disturbanti che mettono a rischio tale processo impedendo quindi la realizzazione dell’obiettivo. E non è certo un caso che nel processo di team building che rafforza il senso di appartenenza al gruppo e l’identità di squadra, e nel team working che incanala quella coesione in un’azione comune che punta al medesimo risultato collettivo, il team coaching si avvalga anche di attività di gruppo aggreganti come costruire o suonare qualcosa tutti insieme o… giocare una partita di basket, di rugby o di football. E tutto torna.

 

 

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